Incontro costantemente molte persone, sia qui a Damanhur sia nei miei viaggi, e ne ho sentite tante esprimere un profondo desiderio di vivere in comunità. “Vivere in comunità” non solo nel senso di avere una vaga rete di individui con un punto di vista simile, che si incontrano in alcuni momenti (anche se questo ha un suo valore): io sento che il desiderio in tante persone è davvero quello di essere creatori di un nuovo mondo e di condividere uno spazio, di utilizzare risorse e di costruire sogni, di vivere insieme negli stessi spazi abitativi: cucine, stanze comuni, sale conferenze, orti comunitari e cibo biologico.
Un altro desiderio è quello di crescere i figli insieme e rivoluzionare l’educazione. Magari questi desideri toccano anche l’arte e i templi, la valuta complementare e il concetto di solidarietà, come succede in Damanhur. Magari si sente anche la necessità di spazi per la danza, la musica e per la meditazione. Potrebbe anche essere una priorità sperimentare soluzioni per utilizzare fonti di energia sostenibile, sistemi di permacultura e edifici costruiti in armonia con l’ambiente.
C’è un sentimento di insoddisfazione sempre crescente verso lo stile di vita delle città e delle periferie, verso il consumismo e la vita moderna, ma d’altra parte il ritorno alle campagne isolate e alle condizioni di vita rurali dei secoli passati non sembra neppure la strada da percorrere. Il movimento di comunità e ecovillaggi è pronto a connettersi con nuovi sognatori, sia attraverso il Global Ecovillage Network, sia attraverso reti più collegate ai singoli Paesi. Questo movimento offre esempi di come vivere in una “lussuosa semplicità”, per citare Kosha Joubert della comunità di Findhorn, più vicino alla terra ma anche con un minore impatto su questa, mantenendo il contatto con il mondo e la sua velocità di sviluppo, in un flusso vivo di emozioni, creatività, sperimentazione e azione. L’importante è pensare localmente ma sognare globalmente, come nella comunità di Tamera dove il sogno è quello di creare in tutto il mondo Terra Nova biotope, un progetto legato alla guarigione. Questo sogno è già realizzato in Portogallo dove la comunità negli ultimi vent’anni ha rivitalizzato attorno a sé la natura e le acque e ha “coltivato” una cultura di amore e trasparenza.
Vivere in comunità non significa solo vivere fisicamente vicini, ma forse significa anche vivere la Comunità come una Missione, un viaggio che dura tutta la vita. Questo concetto viene spesso in chiave puramente romantica. Senz’altro c’è un idilliaco senso di libertà e di sogno utopico, tuttavia c’è molto altro. Credo che vivere in comunità significhi un profondo senso di servizio, impegno, costanza e di combattimento contro l’ego, che significa abbandonare delle idee preconcette a proposito dei bisogni individuali, delle prospettive e delle credenze. Questo lavoro significa anche accogliere gli altri, includendo le loro abitudini e punti di vista. Significa amare gli altri come uno specchio di se stessi, comprese le proprie parti più tumultuose.
Ogni damanhuriano racconta storie divertenti e emozionanti sulle sue esperienza di vita comunitaria. Molte di esse vengono condivise in alcuni momenti dell’anno nei quali viene condiviso tutto ciò che abbiamo imparato sul creare una comunità fiorente e di successo. Nel corso dell’Ecovillage Design Education si analizzano gli aspetti legati all’ecologia, all’economia e alla socialità in generale, e nella nuova Damanhur Community School offriamo un’esperienza diretta. Anche il programma Aminé di 10 giorni ha tempo dedicato a scoprire la vita comunitaria, oltre a esplorare anche altri temi quali la spiritualità, i Templi dell’Umanità, l’arte e il Gioco della Vita.
Con voi,
Quaglia Cocco