Il maestro è fuori o è dentro?
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Il paradosso
L’ispiratore di Damanhur, Falco Tarassaco, parla sin dall’inizio del suo dialogo con la gente, dell’importanza di attivare il “maestro interiore”. È importante essere così liberi nelle proprie scelte, convinti e responsabili, da diventare la propria guida spirituale, senza cercare nell’esperienza degli altri i suggerimenti per la propria vita.
Anche altri saggi segnalano l’importanza di portare il focus della propria attenzione verso se stessi, non verso il maestro: praticamente tutti, da Krishnamurti a Eckhart Tolle, seppure con parole ed esempi diversi, dicono come Falco che l’importante non è seguire un maestro ma formarne uno nuovo, dentro di sé. Ma, allora, a cosa serve una guida spirituale? Chi segue Falco, Osho, SaiBaba, Gurdjeff e via dicendo, ha sbagliato tutto? E poi: se sono i maestri stessi a dirlo, non è una contraddizione, un paradosso?
Sono domande giuste, alle quali Damanhur risponde in questo modo: chi segue un maestro certamente non ha sbagliato e continuerà a fare una cosa giusta andando nella direzione del maestro interiore. Quanto al paradosso, in fondo un percorso spirituale è proprio un modo per rendere armonico ciò che sembra opposto – ad esempio, lo spirito e la materia – e anche l’idea del paradosso è valida![/vc_column_text][vc_single_image media=”60547″ media_width_percent=”100″][vc_column_text]
Cosa significa attivare il maestro interiore?
“Il maestro è un compagno di viaggio che già conosce la strada, che può indicarti un percorso; il percorso va fatto da ognuno, con le proprie gambe, libero di azzeccare o di sbagliare la strada di fronte a ogni bivio.” Così spiego nel libro Falco Tarassaco. Il sogno, il messaggio, dedicato proprio all’insegnamento della mia guida spirituale. Ognuno di noi sceglie un percorso, una figura di riferimento, un “colore della saggezza”, cioè un maestro; già questa, se ci pensiamo, è un’azione compiuta dalla parte più profonda di noi stessi: non è il maestro che ti sceglie, sei tu che scegli lui.
Successivamente, applicarne la filosofia è un atto di libero arbitrio, di coerenza, di libera scelta.
Ma occorre che l’adesione a una filosofia sia aperta e consapevole. Nessuna guida spirituale sarebbe contenta – se è una guida vera – di allievi che accettano tutti i contenuti e le esperienze proposte, senza chiedersi dove portano e, soprattutto, senza a un certo punto sceglierne di nuove, autonomamente.
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Dall’essere figli all’essere genitori
L’allievo deve superare il maestro, dunque? Sì, sempre o, per lo meno, deve provarci.
Il maestro interiore è quella parte di noi, quel livello di maturità raggiunta, che ci permette di ricevere il testimone dal maestro “fuori” e portarlo dentro, come quando da figli dei nostri genitori diventiamo genitori di noi stessi.
Per formare il maestro interiore, occorre aver incontrato un maestro, che ti guidi nei passi di scoperta di te stesso e che ti liberi dalla paura. Quando riusciamo a imboccare questa strada senza presunzione, inizia il risveglio del maestro interiore. Il maestro – ancora incarnato oppure ormai lontano dalle forme – a quel punto non smette di esserci, ha ancora molto da dare ma cambia il modo nel quale ne assorbiamo l’esempio.
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Non debitori ma riconoscenti
Il maestro va scelto. Chi per alcuni dice cose bellissime e profonde può essere per altri poco significativo. Vi è chi è consapevole di essere una presenza fortemente ispirante e chi non immagina di essere visto da altri come un esempio. Il maestro va scelto proprio perché ognuno di noi è mosso da emozioni e colori della saggezza diversi. Il passo successivo è sempre quello del maestro interiore, del trovare dentro di sé le risposte e gli stimoli che cerchiamo.
Alla fine, se ci sentiamo in debito con chi ci ha guidati, cioè in un rapporto di non parità, vuol dire che dobbiamo ancora continuare a cercare fuori e a costruire dentro di noi; se quello che sentiamo dentro è riconoscenza, vuol dire che siamo sulla strada giusta.
Stambecco Pesco
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