Riflessioni personali di Esperide Ananas Ametista
Non credo che la piena consapevolezza degli effetti delle nostri azioni sia presente in nessuno di noi. Ed è una fortuna — perché il peso della responsabilità probabilmente ci riempirebbe di orrore e sconforto — e allo stesso tempo una condanna: su un pianeta in cui tutto è connesso, nessuno può essere libero dalla sofferenza fino a che non lo sono tutti gli altri esseri. La rete della vita ci lega uno all’altro attraverso lo spazio, e anche attraverso il tempo. E nel tempo in cui tutto è presente, la nostra essenza gioca molte partite, in molte diverse situazioni e circostanze. Siamo allo stesso tempo chi soffre e chi crea la sofferenza.

In questo meccanismo di interdipendenza spesso inconsapevole, l’idea che la guerra esista solo come un costrutto mentale, un’illusione che si può dissolvere superando la dualità è molto invitante. Ma forse non è più possibile non interrogarsi se la situazione non sia più complessa, e la confusione più profonda.

La pandemia del Covid-19 ha distolto lo sguardo del mondo dai conflitti in corso — e dal numero delle vittime che queste guerre producono, ma le conseguenze del virus in quei territori sono già più tragiche di quanto lo siano nelle nazioni più organizzate. E lo stesso vale per tutte le zone della terra devastate dalle conseguenze dei cambiamenti climatici.

È difficile trovare — se non per periodi brevi e in alcuni remoti angoli del mondo — epoche storiche in cui non ci siano stati conflitti o invasioni. Anche all’interno di comunità con valori condivisi le prevaricazioni sembrano essere sempre presenti: i gruppi, società o tribù più uniformi, senza persone dalla pelle di colori diversi o accenti differenti, hanno sempre inventato categorie di esseri da poter ritenere inferiori. Negli ultimi millenni il posto è stato assegnato quasi universalmente alle donne o a chiunque deviasse dall’eterosessualità destinata alla procreazione.

Ancora più indietro nel tempo, ci sono tracce di grandi estinzioni di massa, miti sulla fine catastrofica di grandi civiltà come Atlantide e diluvi universali attraverso i quali dei di tutte le latitudini hanno cercato di distruggere l’umanità. E anche quando non erano occupati a sterminare gli umani in toto, gli dei si schieravano in guerra a lato di un popolo o di un altro, dando protezione e forza in cambio di territori dai quali ricevere preghiere, offerte ed energia vitale. E i loro sacerdoti, nell’antichità come oggi, benedicevano le armi prima dei combattimenti. Molti dei hanno il loro posto sul campo di battaglia: che siano signori dell’intero universo, o coinquilini di un pantheon, tanti di loro dimostrano di avere un grande interesse per gli esiti dei conflitti umani. Al loro lato, anche santi e demoni sono spesso presenti.

Ancora altri miti raccontano che gli dei erano spesso in guerra tra loro. E non pensiamo solo a dei al maschile: a tutte le latitudini e in tutte le civiltà di cui esista traccia storica, ci sono dee della guerra, della vittoria, della discordia e della morte sul terreno di battaglia. Menvra, Atena, Bellona, Morrigan, Inanna e Ištar, Bandua, Andarta, Freyja, Macha, Neith, Sekhmet, Tanit, Pele, Qamitis, Oyá, Ifri, Anahit, Zorya, Chamunda, Durga… solo per citarne alcune.

Dee evocate per proteggere la famiglia, le nascite e l’amore, tanto quanto la guerra. Spesso, alla loro nascita, hanno dovuto affrontare lotte molto violente contro demoni, animali mostruosi e divinità malvagie di cicli precedenti. Si sono quindi conquistate in battaglia l’onore di proteggere gli umani in guerra e dare loro la vittoria. Tutti questi miti parlano di migrazioni e invasioni, di nuovi modi di vivere che soppiantano quelli più antichi. Non c’è dubbio che la storia che raccontano è quella di civiltà sempre costruite sulla sopraffazione di quelle precedenti, in occidente così come in oriente, nel nord e nel sud del mondo.

Il terreno su cui attecchisce la guerra— molti filosofi e insegnanti spirituali ci ricordano— è dentro di noi. Siamo noi che con le nostre scelte e azioni determiniamo in ogni istante gli equilibri di questa battaglia. E questo, ogni essere umano con un po’ di consapevolezza lo verifica ogni giorno, cercando di far coincidere i suoi ideali con le sue azioni. Soprattutto nei paesi industrializzati, dove quasi ogni azione che facciamo comporta la sofferenza di qualcuno da un’altra parte del mondo: dalle guerre per il coltan dei nostri cellulari e play station, all’impatto ambientale del modo in cui ci spostiamo, di ciò che mangiamo e indossiamo, dallo sfruttamento di altri umani per produrre la miriade di oggetti che usiamo ogni giorno, e tanti di essi superflui.

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Scritto da Esperide Ananas Ametista
Psico-sociologa, facilitatrice spirituale, guaritrice e ambasciatrice della Federazione di Damanhur.

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