Leggendo i miti e le storie connesse alla nostra divinità del mese, Abuk, un elemento forte che mi permea è quello della ribellione. Perché, in così tanti miti collegati alla genesi del mondo, si ripete questo elemento? A un certo punto della storia, il primo uomo e la prima donna si ribellano contro il proprio creatore.
Vivo in Occidente, da piccola ero permeata dalla mitologia cristiana e l’elemento della ribellione lo trovavo solo in forma negativa, come qualcosa di cui vergognarsi, ad esempio in Eva e Adamo che mangiavano la mela della Conoscenza indotti al peccato dal serpente. Nella mitologia del popolo sudanese dei dinka, dall’altra parte del mondo, in una cultura completamente diversa, la ribellione di Abuk e Garang, primi esseri umani sulla Terra, rappresenta invece l’inizio di una nuova storia, fatta di determinazione e capacità evolutive. Per Abuk non era sufficiente quanto concesso dal Dio del cielo, un solo chicco di grano al giorno, e decise di prenderne più di quanto offertole. Anche Abuk ha come compagno-simbolo un serpente, ma nel suo mito esso rappresenta il suo contatto con la natura, con la forza vitale e con la conoscenza.

Anche noi umani di oggi ripetiamo questo atto di ribellione nella nostra vita individuale, nel momento nel quale sentiamo che non ci basta più quanto concesso dal nostro “creatore”, i genitori. Sentiamo che il mondo è grande, che ci sono cose da scoprire e che possiamo sapere molto di più di quanto ci è concesso nel giardino che ci nutre all’inizio della nostra esistenza. Tutto d’un tratto, scopriamo che i nostri genitori non hanno tutte le risposte, che hanno anche loro dei limiti che da piccoli non vedevamo. Questo, spesso, è un processo doloroso e complesso di definizione di sé: non è facile accettare che i nostri genitori non siano onnipotenti e dobbiamo quindi avere il coraggio di affrontare la vita da soli. Papà e mamma non possono proteggerci per sempre, viene il momento di prendere spada e scudo – possibilmente più simbolici che reali – e mettersi in gioco in prima fila. Durante l’adolescenza viviamo l’oscillazione destabilizzante fra il desiderio di essere protetti e la passione di scoprire il nuovo.
La perdita di protezione è estrema nella storia di Abuk, perché non appena si ribella, il dio si offende e non le dona più nulla. Dal momento nel quale lasciamo la casa dei nostri genitori, abbiamo sia una maggiore libertà, sia una maggiore responsabilità. E dobbiamo così imparare che questi due aspetti sono inscindibili.

Il fatto che una scelta comporti dei rischi e dei costi, è ciò che la rende reale. Se non fosse così non ci porterebbe quel cambiamento che solo una scelta vera permette. Nel nostro mondo occidentale siamo un po’ troppo protetti, i figli spesso vivono con i genitori anche dopo l’adolescenza, o sono da loro aiutati economicamente. A volte, queste condizioni rendono più difficile diventare adulti liberi e capaci di rischiare. Se la sicurezza ci arriva troppo a lungo dall’esterno si rischia di non riuscire ad acquisire quella forza interiore che permette di sfidare il mondo ed essere davvero noi stessi. La natura selvaggia dentro di noi si appiattisce e diminuiamo di peso. Non quello fisico, ma quello umano e spirituale, che si sviluppa dal momento nel quale prendiamo la nostra vita nelle nostre mani. Mi ricordo ancora oggi del periodo prima di lasciare la casa della mia famiglia. Sentivo dentro di me che la vita vissuta fino a quel momento era giunta a una conclusione, non volevo più dipendere dai miei genitori. Ero alla fine dei miei diciassette anni, mi sentivo adulta, pronta per andare in un’altra città per fare l’Università.

La paura di non farcela, di non trovare lavoro per potermi mantenere, ed essere poi costretta a ritornare a casa era forte e reale, ma non comparabile con il mio desiderio di scoprire il mondo, di trovare la mia Forza e di crescere da sola. Alla fine, tutte le mie paure si sono dimostrate inutili, ho trovato subito sia lavoro sia amici e durante gli studi ho scoperto che le mie necessità reali sono molto più immateriali che materiali. Ciò che cercavo non era definito dal denaro, dalla sicurezza o dal comfort. Sono sempre riuscita a mantenermi, ho avuto l’aiuto di amici quando mi serviva e, ancora più importante, ho scoperto di avere anch’io la capacità di aiutare gli altri. Tutto questo non si sarebbe avverato se fossi rimasta nel mio piccolo paese di nascita.

Sono profondamente grata per tutto quanto i miei genitori mi hanno dato, ho sempre sentito che mi donavano il meglio di sé, ma proprio come Abuk, per me a un certo punto è arrivato il momento di scegliere. Ho sentito che era un richiamo della mia natura femminile profonda, una parte che è in ogni essere umano. È un richiamo che ci porta a spezzare un sistema preesistente, rompere una gerarchia che ci limita, volere di più per continuare a crescere. Riuscirci e creare qualcosa di più, qualcosa di nuovo non è mai un processo scontato. Ma quando ce la facciamo, questo ci rende divini.

Bertuccia Bietola