C’è chi dice che la magia non esiste e che la realtà sta tutta dentro alle formule scientifiche e logiche. Esistono la forza di gravità, l’elettromagnetismo, la termodinamica e tutte le altre leggi che sono scritte nei manuali di Fisica; esiste, più in generale, la legge di causa-effetto; esistono la Medicina, la Chimica, la Matematica e tutte le visioni del mondo che da esse derivano.
Ma non esisterebbero la legge di rispondenza, il principio di abbondanza, il potere creativo della parola, la sincronicità. Tutte le culture che hanno basato la loro visione del mondo su un sistema di significati che lega l’uomo all’universo attraverso il suo pensiero e il suo potere, sarebbero sbagliate. Tutti i ricercatori che hanno esplorato – raggiungendo qualche risultato! – la possibilità di creare dei risultati senza partire da cause apparenti, si sarebbero sbagliati o, semplicemente, sarebbero stati solo molto fortunati.
Quello tra scienza e magia non è un vero dualismo, perché se la prima nega l’esistenza della seconda, la seconda non nega l’esistenza della prima; semplicemente, spiega che esistono anche le sue leggi, che si combinano con quelle scientifiche fino a creare l’universo. Quindi, la magia è più inclusiva.
Una legge naturale
Ma cosa intendiamo quando parliamo di magia? Per i damanhuriani, non si tratta di qualcosa di soprannaturale o “magico”: la magia – lo racconta Falco Tarassaco sin dall’inizio della storia di Damanhur – è l’insieme delle leggi naturali che non sono veicolate da elementi fisici, chimici e via dicendo. La telepatia non è più straordinaria dell’ebollizione dell’acqua, richiamare eventi sincronici non è più incredibile che misurare il peso di qualcosa; tutt’al più, sono fenomeni meno frequenti, ma fanno entrambi riferimento alle facoltà dell’essere umano.
E anche le cerimonie rituali fanno riferimento e processi che in fondo non sono così distanti da quelli più evidenti. Quando camminiamo avanti e indietro in mezzo a un prato, a poco a poco creiamo un sentiero, che diventa un elemento stabile lungo il quale tutti camminano, approfondendolo. Un rito non è qualcosa di così diverso. Ad esempio, nei Solstizi e negli Equinozi che si celebrano a Damanhur – cerimonie pubbliche, alle quali tutti possono assistere – la ripetizione anno dopo anno degli stessi gesti e delle stesse formule scrive a poco a poco un messaggio energetico che richiama gli eventi dei quali parla.
Chi crede e chi non crede
Qualche tempo fa, un giornalista italiano chiuse un articolo che parlava di Damanhur scrivendo: la magia esiste per chi ci crede. Dal suo punto di vista, con ogni probabilità intendeva garbatamente prendere in giro i damanhuriani, rimandando tutto alla suggestione, alla creduloneria. Invece, senza rendersene conto, aveva scritto una realtà sacrosanta: l’ulteriore e ultimo ingrediente della magia è la partecipazione soggettiva.
Il suono della sacra sillaba OM, il suono del MOAE damanhuriano sprigionano forza ed energia perché chi li canta è profondamente convinto della loro efficacia; gli stessi suoni, cantati da chi non ne ha consapevolezza, esprimono molto meno. È il motivo per il quale chi crede trova sempre conferme e chi non crede, pure.
Crederci non è un atto di fede verso qualcosa di infinitamente lontano; è semmai un atto di umiltà, una forma di visione allargata che ci fa consapevoli di come i limiti del mondo siano più distanti di quanto spesso pensiamo.
Leonardo da Vinci non si sarebbe spaventato di fronte all’idea della cibernetica.
Perché spaventarci noi di fronte all’idea che la natura è ancora tutta da esplorare?